IL PRESIDENTE MARGARA
Alessandro Margara come Direttore Generale del D.A.P.
Come cittadino detenuto colpevole, come ex detenuto, come
cittadino libero, debbo molto all’intelligenza e alla fermezza di questo
Magistrato, soprattutto in questo tempo di impegno e di responsabilità.
Ho conosciuto il Dott. Alessandro Margara come Direttore
Generale del D.A.P. in più occasioni, ho avuto a che fare con
l’Uomo e con il Giudice, in entrambi i casi ; il rigore non ha mai disgiunto
strada alla sua umanità, né l’autorevolezza della sua vista prospettica
armeggiare con gli scarponi chiodati dagli interessi di potere.
Nelle sue parole, azioni, analisi, traspariva la necessità
di un ripensamento culturale che affermasse la giustezza di un principio, il
quale non è filtrato da scuole di pensiero o strumentalizzazioni ideologiche:
in carcere esiste un prima, un durante e un dopo, più il carcere recupererà
persone, più il problema della sicurezza sarà soddisfatto, contrariamente a ciò
che si è cercato di fare passare come principio sofistico.
Margara stava anch’egli al centro del percorso del
detenuto, dovendo fare camminare insieme
con equilibrio e senza dimenticanze la funzione di salvaguardia della
collettività e quella di recupero fattivo delle persone ristrette.
Il carcere, il luogo per eccellenza più separato, escluso,
ghettizzato, diventa lo spazio più facile da rimuovere culturalmente. Se il
carcere che si vuole fare nascere non avrà spazi di risocializzazione, perché
costruito su un ragionamento di solo contenimento del fenomeno criminale, se
gli spazi in questione verranno immediatamente occupati per la troppa
abbondanza di carne umana, mi sembra chiaro che continuerà a venire meno la
funzione stessa della pena e cosa ben peggiore aumenterà la recidiva e la
società si ritroverà in seno uomini ancora più incalliti di quando sono
entrati, peggio uomini ritornati bambini incapaci di fare scelte responsabili.
In questo senso assume grande rilievo l'impegno profuso
dal Presidente Alessandro Margara, il suo tentativo di alimentare processi
ripetuti di relazioni e interazioni, affinché fosse possibile un cammino di
crescita individuale attraverso la sinergia di quattro poli convergenti:
Magistratura, Istituzione Penitenziaria, Società e Detenuti.
Egli sapeva benissimo che se solo una di queste componenti
viene meno tutto il progetto è destinato a fallire.
Lo stesso dibattito sulla Giustizia e in questo caso sulla
pena e sul carcere è costantemente avvelenato dal flusso comunicazionale non
sempre corretto e leale.
Per cui il bene e il giusto che si riesce a fare in una
galera, nelle persone ricondotte al vivere civile, premessa per ogni conquista
di coscienza, rimangono ultimi e dimenticati.
Margara con questa ingiusta croce ci ha fatto i conti
ripetutamente.
Di conseguenza rivendicare la propria dignità, ognuno per
sua parte e nel proprio ruolo, sfugge a ogni regolamentazione giuridica e
umana, ciò per una politica contrapposta e distante che disgrega e annienta
quei "ponti di reciproco rispetto "a fatica mantenuti insieme.
Margara ha cercato di
insegnare a tutti: cittadini liberi e non, che il “carcere è società”, allora come può una società non sentirsi
chiamata in causa, non avere la consapevolezza che è suo preciso interesse
occuparsi di ciò che avviene, o peggio, non avviene dentro un carcere?
La ringrazio ancora Signor Presidente e buona strada.
VINCENZO ANDRAOUS