Terrorismo 2.0
articoli sul terrorismo
Tra i piu'
interessanti e stringenti interventi elaborati sul massacro di
Charlie Hebdo, quello dell'amico Erri de Luca m'è parso il più
eloquente nel mettere sull'avviso qualunque tentativo di manomissione
della verità: “Morire con la matita in mano, la scatola dei
colori, mentre si sta disegnando lo sgambetto a una qualche tirannia,
con lo strumento insuperabile del sorriso. La strage non si limita a
minacciare la libertà di critica. Mira a ferire la libertà in se
stessa, data per immorale dagli assassini”. Non ho la sua
capacità comunicativa nè la sua sintesi di ghiaccio bollente,
cercherò quindi di non farla tanto lunga con i soliti ossimori.
A
Parigi la ghigliottina reclama il dazio che le è dovuto, la caccia è
giunta a conclusione, i combattenti senza onore sono stati messi
pancia a terra, adesso è tempo di contare i morti, i feriti, le
eventuali attenuanti prevalenti alle aggravanti per lenire il dolore
delle nuove assenze.
Qualcuno si ostina a dire che non bisogna
offendere il Dio degli altri, tanto meno provocare quel Dio
tanto protetto e osannato. Qualcuno sarebbe ora
tacesse.
Dio e tutti i santi sono nominati invano e pure presi a scaracchi in
terra nostra, in alcune parti italiche non si pronuncia parola che
bestemmia non incolga, manco fosse sport d'imperio paesano,
cittadino, fin'anche
regionale-nazionale.
Dio è preso a ginocchiate, tra sorrisi e pernacchie, un assolo
straripante di parolacce e improperi, persino vip e famosi per forza
ne fanno grande sfoggio, e chissà se qualcuno ricorda un grande
mezzo busto di veneta periferia, che tra una notizia e l'altra,
intratteneva bellamente il popolino con smargiassate di vario
tenore.
Il comando alto ci impone di non nominare il nome di Dio
invano, noi infrangiamo tranquillamente la regola, ciò è
chiaramente diseducativo, profondamente sbagliato, perfino
fastidioso, ma la punizione non contempla il taglio scarnificante del
machete nè i botti in entrata del kalashnikov. Chiudere la partita
affermando che quanto accaduto in Francia
(dappertutto è residenza francese o almeno così la penso io) sia da
ricondurre all’uso scriteriato di una satira qualunquista, una
presa per il deretano irresponsabile del credo mussulmano, è a dir
poco disarmante.
Quanto accaduto a Parigi non è riconducibile alla
semplice affermazione terroristica, pensare che quegli spari a
bruciapelo siano il risultato di una banda di esaltati, di numeri a
perdere, di persone destinate al macero, è quanto meno discutibile,
riduttivo, drammaticamente semplicistico, una spiegazione minore a
favore del prossimo colpo in canna. Ciò che sta avvenendo in Europa,
in America, nel mondo occidentale, è esattamente ciò che sta
imperversando in ogni parte del mondo, a democrazia esportata (nel
processo di esportazione democratica non ho mai creduto ) corrisponde
altro identico sangue versato, a massacro perpetrato in nome di una
giustizia alta, ecco la carneficina come equivalente di una giustizia
meno importante, eppure delirante al punto da scambiare Dio con il
carico di plastico da fare detonare tra infedeli e traditori,
inventando patenti di eroi irriconoscibili e di martiri che invece
non hanno onorato alcun dettato coranico.
E’ senz’altro
terroristica la forma di guerra combattuta, è terrorismo il modo in
cui si fa combattimento mordi e fuggi, è terrorismo figlio di una
ideologia, è terrorismo che però non alimenta se stesso, ma si
abbevera alla sua fonte, la religione, dove partorisce e nasce la sua
capacità di erosione intellettuale, in quella parte di Corano
sprovvisto di esegeti, di oracoli, di interpreti, di testimoni, i
quali avrebbero tutto il diritto di predicare la necessità di non
farsi infinocchiare, non dalla preghiera, non dalla fede, non dalla
speranza che ognuno mantiene e custodisce per tentare di rimanere un
uomo libero.
Quando la fede, diviene lo scarpone chiodato per fare
politica, per rendere accettabile la miseria e il sopruso, allora,
quella fede non ha piu’ nulla da recriminare se la religione
professa vendette e guerre sante, se la voce di Dio è schiacciata
tra incudine e martello, se profeti e testimoni vestono tute
mimetiche vendute al migliore offerente.
L’Islam non è un
mostro dalle mille teste, non c’è nulla di incomprensibile e
quindi colpevolmente sconosciuto, piuttosto è la violenza l’arma
letale che annienta il dialogo e la possibilità di accorciare le
distanze, è violenza messa in atto per difendere, è violenza messa
in campo per attaccare, la violenza che impone martirio e suicidio,
la violenza che con prepotenza estirpa intere generazioni, la
violenza che uccide in nome di Dio, la violenza che ammazza in nome
della democrazia, la violenza che conta da una parte i morti per
attentati e omicidi di massa premeditati, la violenza che adagia con
indifferenza nelle fosse pubbliche centinaia di migliaia di innocenti
in nome del riordino mondiale, di una presupposta difesa dei principi
e diritti universali.
Ostinato e cocciuto, per altri pensatori,
arguto e lungimirante, c’è chi si ostina a specificare che non si
tratta di fatti eclatanti riconducibili alla propria religione, c’è
fretta di rimarcare che non c’entra nulla il Dio degli altri,
ancora meno il sangue versato ieri, l’anno scorso, oppure domani.
C’è urgenza di sottoscrivere l’epitaffio autoassolvente di un
terrorismo becero e tracotante, emerge la necessità di confinare
questa minaccia incombente in uno spazio ben delimitato, dove poi
fare confluire l’urto potente e indiscriminato della pace e della
democrazia, e chissà, potrebbe risultare addirittura meno costoso in
termini di vite umane questa politica della bomba ( poco )
intelligente.
Non è terrorismo di tutti, non è terrorismo di
ognuno e di ciascuno, l'islam moderato è una realtà, oltre che
vittima primaria del terrorismo di matrice islamica, l'errore più
grave in questo momento è confondere le cose, perdendo contatto e
attenzione con la sostanza del vero problema.
Ma è terrorismo
prettamente coinvolgente intere nazioni, popoli, genti, dove spesso
il buon Maometto, uomo di pace e di cuore grande, è ridicolizzato a
una sorta di caricatura feroce e dannatamente somigliante al sultano
Salah Al –Din.
Ovviamente le parole sono ben più di semplici
sassi, vanno soppesate, non maldestramente ferocizzate. Eppure sullo
sviluppo demografico, sulle problematiche dell'immigrazione legate
anche a Schengen che consente liberi passaggi alle frontiere nonché
sull'integralismo e sulle dinamiche sociali, occorre parlarne,
discuterne, fors’anche mettersi a mezzo, di traverso, non
nascondere la testa come fanno gli struzzi, perché non ammetterlo
per puro tornaconto elettorale, non solamente è imperdonabile, ma
equivale a non fare i conti con quanto ci sta aspettando al
varco.
Ah dimenticavo: personalmente "non mi sento Charlie Hebdo"
piuttosto un cercatore infaticabile di sepolcri imbiancati, dove mai
sarà domiciliato alcun Dio.